L’anemia infettiva equina è una malattia virale riconosciuta fin dai primi del 900 per cui non vi è al momento alcuna cura né vaccino, trattandosi di un Retrovirus della sottofamiglia dei Lentivirus (virus a RNA come i Retrovirus umani responsabili dell’HIV). Infatti, i soggetti colpiti rimangono infetti per tutta la vita, anche senza mostrare alcun segno clinico, con episodi ricorrenti di viremia collegati a vari fattori (stress, eventi sportivi, patologie concomitanti, trasporti, etc….).
Il virus è caratterizzato dalla presenza di un’envelope lipidica con alcune glicoproteine di superficie (gp90 e gp45) che agiscono come immunostimolanti e permettono la penetrazione del virus nell’ospite. Una proteina del core (p26) è la maggior responsabile dell’immunità umorale nei soggetti infetti ed è pertanto utilizzata in tutti i test diagnostici sierologici.
Patogenesi
La trasmissione da soggetto malato a soggetto sano si verifica tramite contatto con sangue infetto, in occasione degli episodi di viremia (non solo in soggetti sintomatici ma anche asintomatici che possono occasionalmente raggiungere una carica virale infettante).
I principali vettori passivi sono gli insetti ematofagi (tabanidi ed alcune zanzare). È tuttavia descritta la trasmissione attraverso l’utilizzo di aghi, emoderivati e strumentario chirurgico infetti. Il sangue nell’apparato boccale dell’insetto rimane infettante fino a 4 ore. I più perocolosi sono i tabanidi perché più frequentemente pungono più soggetti differenti per completare il pasto di sangue. Per questo motivo, i cavalli sieropositivi devono rimanere in isolamento a vita (ad almeno 200 metri da altri equidi) in una zona dove venga attuato un buon controllo degli insetti vettori.
È stata descritta anche la trasmissione venerea da stallone infetto alla fattrice e dalla fattrice al feto per via transplacentare o tramite colostro al puledro dopo la nascita (questo aspetto è stato comunque ancora poco studiato). Puledri nati da madri sieropositive che possono aver assunto gli anticorpi tramite il colostro vengono testati ad un anno di età – quando gli anticorpi di origine materna sono ormai sicuramente non più presenti – e pertanto a questa età una positività indica che il soggetto è portatore e va isolato.
Dopo l’infezione si verifica una replicazione virale immediata nei macrofagi tissutali, seguita dalla viremia, che coincide con il picco febbrile e la sintomatologia, che si presenta dai 7 – 30 giorni dopo l’ingresso del virus.
Il titolo anticorpale risulta elevato dopo circa 15 giorni dall’insorgenza della febbre, che può tuttavia passare inosservata.
La sintomatologia è spesso di carattere cronico, aspecifico, caratterizzata da lieve anemia, trombocitopenia, febbre ricorrente, perdita di peso, edemi, soprattutto se il ceppo virale è poco virulento o la quantità di virus assunta è piccola.
Nel tempo – solitamente nell’arco di circa un anno dal primo contatto con il virus stesso – il soggetto può trovare un equilibrio riducendo sia la gravità che l’entità dei picchi febbrili, fino ad arrivare alla condizione di portatore asintomatico o carrier.
La presenza di anticorpi in circolo conferma l’infezione, anche in assenza di viremia, poiché il virus non viene eliminato: questo è stato dimostrato sia dalla presenza di immunocomplessi in tutti i soggetti colpiti (anche asintomatici), che dalla trasmissione dell’infezione ad altri cavalli tramite trasfusioni di sangue intero da soggetti clinicamente sani ma sieropositivi.
Il virus rimane latente nella serie bianca (macrofagi, monociti e cellule dendritiche) ad opera della trascrittasi inversa. L’enzima infatti catalizza la conversione dell’RNA virale in un DNA complementare (cDNA) che viene inserito nel DNA cromosomiale della cellula ospite, permettendo al virus di replicarsi di nascosto dal sistema immunitario. In questo modo l’infezione si palesa occasionalmente in modo lieve quando le mutazioni degli epitopi della glicoproteina lo rendono temporaneamente meno attaccabile dal sistema immunitario dell’ospite.
Questa estrema variabilità immunologica rende difficoltoso lo sviluppo di un vaccino ed è responsabile delle caratteristiche peculiari della malattia.
La diagnostica sierologica appare quindi l’unico metodo in grado di rilevare la presenza del virus in stato di latenza o durante episodi ricorrenti di viremia, anche lieve.
Nel 1972 il Dott. Leroy Coggins sviluppò un test AGID (Immunodiffusione in gel di agar o Test di Coggins) che permette la rilevazione della precipitazione di immunocomplessi in una piastra di agar gel contenente l’antigene virale della proteina core p26. Si tratta di un test molto specifico e tuttora costituisce la metodica ufficiale utilizzata da molti stati nel mondo per rilevare i cavalli sieropositivi che poi devono essere obbligatoriamente isolati per il resto della vita, oppure sottoposti ad eutanasia.
Diagnosi di laboratorio
Le IgG prodotte non sono virus neutralizzanti e pertanto si rilevano in circolo come immunocomplessi e la maggior parte delle lesioni caratteristiche della malattia sono da attribuirsi alla continua stimolazione del sistema immunitario piuttosto che dall’azione diretta del virus.
Vediamo quali alterazioni ematologiche possiamo riscontrare nelle fasi iniziali della malattia.
- Trombocitopenia: le piastrine vengono danneggiate dalla formazione di immunocomplessi e di seguito fagocitate dai macrofagi
- Leucopenia / Leucocitosi: a seconda se in fase acuta o cronica della malattia
- Monocitosi
- Anemia emolitica: anche i globuli rossi vengono coperti dagli immunocomplessi e di seguito fagocitati
- Ipercalcemia / Iperbilirubinemia: associata agli episodi di emolisi
- Iposideremia: come conseguenza dell’infezione cronica e della distruzione degli eritrociti
- Presenza di sideroleucociti, ovvero fagociti con emosiderina (proveniente dalla distruzione degli eritrociti)
- Ipergammaglobulinemia: dovuta alla stimolazione cronica del sistema immunitario
- Glomerulonefrite causata dagli immunocomplessi.
TEST sierologici utilizzati
Test di Coggins
Si tratta di un Agid test che si effettua su gel di agar: l’antigene solubile (proteina p26 del core) è localizzato in un pozzetto centrale. mentre nei pozzetti laterali viene immesso il siero da testare e due controlli (positivo e negativo). Se il siero da testare è positivo si forma una linea di precipitazione più o meno netta.
È molto specifico ma meno sensibile di un ELISA perché non testa gli anticorpi contro le glicoproteine.
Test ELISA
Si tratta della metodica più rapida e moderna utilizzata come test di screening. Rileva gli anticorpi contro la proteina p26 del core e la glicoproteina gp45. Sono possibili cross-reattività, quindi è un test meno specifico dell’Agid ma più sensibile.
In caso di risultato dubbio, e comunque prima di considerare un soggetto positivo, viene effettuato anche un ulteriore test:
il Western Blot
Questo test rileva gli anticorpi contro la proteina p26 ma anche contro le proteine gp90 e gp45, presenti precocemente anche nei primi giorni dalla viremia. La positività viene confermata se sono presenti anticorpi contro la proteina p26 ed almeno una delle glicoproteine.
PCR
Un discorso a parte merita la PCR. Questo esame rileva la presenza di DNA virale nei monociti e macrofagi presenti nel sangue, ma non è diagnostica in quanto poco specifica dato che molti soggetti infetti possono risultare negativi a causa della bassa od assente viremia al momento del prelievo e alla condizione di latenza. È possibile anche l’esecuzione di questo test post-mortem sulla milza.
Sanità pubblica
In Italia, ogni soggetto sottoposto a movimentazione deve essere testato ogni 3 anni per l’anemia infettiva (a meno di presenza di muli in azienda, nel qual caso l’esame deve essere ripetuto con scadenza annuale). Il test di screening comunemente utilizzato è l’ELISA (rapido e più sensibile).
I test sierologici devono essere effettuati a cura dei servizi veterinari pubblici o da veterinari liberi professionisti autorizzati, inviando i campioni presso gli Istituti Zooprofilattici. Qui viene effettuato un primo test di screening tramite ELISA, in caso di positività o dubbio gli esami vengono ripetuti – sia ELISA che Agid – presso il Centro di referenza nazionale per l’Anemia infettiva equina (Istituto Zooprofilattico del Lazio e della Toscana).
I casi ulteriormente dubbi (con linea di precipitazione non definita, oppure discordanti tra le due metodiche) vengono testati anche con Western Blot, metodica che risulta maggiormente sensibile fra i tre in quanto ricerca entrambe le glicoproteine dell’envelope (gp90 e gp45). Se nessuno dei tre test dà un risultato conclusivo, il soggetto viene testato nuovamente dopo 6 mesi e nel frattempo viene considerato negativo.
In caso di conferma di positività, il cavallo risultato positivo deve esse posto per tutta la vita in un’area di isolamento situata ad almeno 200 metri da altri equidi, attuando un controllo efficace dei vettori, oppure sottoposto ad eutanasia. Nelle aree localizzate nel raggio di 3 km da un focolaio attivo tutti i soggetti di più di 12 mesi di età sono sottoposti a sorveglianza sierologica ogni 12 mesi fino ad estinzione del focolaio stesso.
Dott.ssa Susanna Mereghetti