L’infezione da Clostridium botulinum e la conseguente intossicazione data dalle tossine prodotte da questo batterio causa una patologia molto seria nel cavallo ed in altri animali, compreso l’uomo.
Caratteristiche della malattia
Il Clostridium butulinum è un batterio ubiquitario sporigeno, gram positivo, anaerobio, che produce una serie di tossine molto neurotossiche, denominate tossine botuliniche. Si tratta di polipeptidi composti da una catena doppia unita da ponti disolfuro svolgente funzione di proteasi, che agiscono lisando una proteina della giunzione neuromuscolare. Questo impedisce il rilascio di acetilcolina dalle vescicole pre-sinaptiche, causando paralisi flaccida.
Sono conosciute sette tossine (A, B, C, D, E, F, G): ognuna agisce su differenti recettori. Quelle più frequentemente riscontrate in Europa sono la A, B, C, queste due ultime particolarmente tossiche per il cavallo.
L’avvelenamento può avvenire sia per l’assunzione diretta delle tossine presenti nell’alimento che per ingestione del batterio (o della spora) che poi, una volta infettato l’ospite, produrrà le tossine stesse.
Arrivate in circolo, le tossine si localizzano alle sinapsi delle terminazioni nervose colinergiche dove esplicano la loro azione che è reversibile in quanto il neurone non viene compromesso in modo permanente.
La durata del blocco è variabile da tossina a tossina e dalla quantità presente. Questi fattori condizionano la gravità della patologia e la velocità di progressione della malattia.
Abbiamo detto che i cavalli adulti di solito si infettano (o assumono la tossina) per via alimentare: attraverso foraggi e mangimi contaminati o mal conservati (soprattutto fieni fasciati od insilati), ma possono sviluppare il batterio anche nelle ferite chiuse (castrazione od ascessi postiniezione per esempio).
I puledri neonati di solito si infettano attraverso ferite ombelicali mal gestite od assumendo per via orale le spore che più facilmente, in condizioni particolari di assenza di ossigeno (ph tra 7 e 4.5), presenza di caldo ed umidità, germinano nell’intestino, iniziando poi a produrre le tossine.
Anche l’uomo può infettarsi, di solito assumendo la tossina / batterio per via alimentare (conserve mal preparate).
Segni clinici
I segni clinici dipendono dalla quantità di tossina ingerita e si manifestano dalle 12 / 24 ore fino a 10 giorni dopo l’ingestione (1).
I segni clinici comprendono: debolezza muscolare, fascicolazioni, disfagia da mancato tono della lingua con ptosi (se viene tirata verso l’esterno è retratta con difficoltà), deglutizione lenta con eccessiva salivazione, abbassamento permanente della testa, sudorazione, coda e sfintere flaccido, paralisi della vescica, tremori, tachipnea e midriasi con scarsa risposta del riflesso pupillare.
Nei casi iperacuti, scambiati spesso per sindromi coliche, gli animali possono morire in poche ore, i puledri mostrano precocemente difficoltà nella suzione, tremori, polmonite ab ingestis (“Shaker foal syndrome”, di solito associata a tossine del gruppo B).
I soggetti che mantengono la stazione più facilmente superano la malattia. Il miglioramento clinico avviene nell’arco di 10 – 15 giorni in quanto è necessaria la rigenerazione delle sinapsi colpite. Alcuni cavalli vengono sottoposti ad eutanasia per difficoltà nella gestione del decubito prolungato. Nella progressione della malattia la morte avviene generalmente per paralisi flaccida dei muscoli respiratori.
Terapia
La terapia è purtroppo solo sintomatica, non abbiamo infatti a disposizione in Italia né siero iperimmune (che può però solamente inattivare la tossina libera e non quella legata e responsabile dei sintomi) e nemmeno un vaccino registrato per equini.
Diagnosi
I rilievi di laboratorio sono aspecifici poiché si tratta di una tossicosi. All’esame emocromocitometrico possiamo avere un modesto rialzo della serie bianca, gli enzimi muscolari possono essere elevati soprattutto in caso di decubito persistente.
La valutazione del liquido cefalorachidiano non offre spunti diagnostici e nemmeno i rilievi autoptici.
La diagnosi si effettua principalmente su base clinica e ricercando la presenza delle tossine o delle spore nei foraggi o mangimi. La coltura da un’eventuale ferita appare difficoltosa per le condizioni di stretta anaerobiosi che lo sviluppo del Clostridium botulinum richiede.
È possibile rilevare la tossina botulinica nel siero o l’eventuale risposta anticorpale nei pazienti che hanno superato la malattia, oltre che ricercare e tipizzare la tossina ed il Clostridium botulinum stesso su feci e contenuto gastrico.
Laboklin offre questi esami ematologici:
- ricerca della neurotossina (solo per il cavallo) su siero refrigerato
- ricerca di anticorpi antitossina (cavallo, cane, bovino, ovicaprini – no asini) su siero
Mentre su contenuto gastrico o feci:
- ricerca dell’agente eziologico e della tossina (cavallo, asino, bovini, ovicaprini, maiale) da materiale refrigerato o congelato
- tipizzazione della tossina tramite metodica PCR (cavallo, asino, bovini, ovicaprini, maiale) da materiale congelato.
È importante considerare che nei soggetti colpiti potremmo non rilevare adeguate quantità di tossina in circolo e questo succede anche nel materiale alimentare.
È stato descritto infatti che solamente un 30% dei puledri in fase acuta mostra la presenza di tossine nelle feci (1), pertanto un risultato positivo è fortemente indicativo di botulismo, mentre un risultato negativo non esclude la diagnosi.
La terapia è supportiva e spesso poco gratificante, oltre che economicamente onerosa: sono indicati antibiotici, sedativi, somministrazione di fluidi per via endovenosa o tramite sonda rinogastrica, cateterizzazione urinaria nei casi di paralisi vescicale.
Nei puledri potrebbe essere necessaria la nutrizione parenterale o una ventilazione assistita. Il decubito e le difficoltà respiratorie peggiorano la prognosi. La sopravvivenza degli animali trattati è comunque intorno al 10 % – 30%.
La prevenzione è molto importante per evitare questa malattia: un controllo assiduo della qualità e della conservazione dei fieni e mangimi ed un’analisi regolare delle fonti di acqua nelle scuderie permettono di arginare il più possibile queste problematiche.
Dott.ssa Susanna Mereghetti