L’utilizzo di antibiotici per la terapia di infezioni batteriche nella pratica clinica veterinaria è irrinunciabile e rappresenta un fondamentale supporto nel lavoro di tutti i giorni.
Nell’anno 2000, in Germania, in seguito alla pubblicazione delle “linee guida per l’utilizzo accurato di prodotti antibatterici veterinari” (linee guida per gli antibiotici), sono state definite le regole per un utilizzo ottimale degli antibiotici in medicina veterinaria, senza tuttavia costituire una disposizione di legge vincolante.
Se si devono utilizzare antibiotici si deve prima chiarire se siamo effettivamente di fronte ad un’infezione batterica. Questo richiede sempre una diagnosi sulla base di esame clinico, eventuali esami di laboratorio, valutazione degli aspetti specifici del caso ed esperienza del medico veterinario curante. E’ inoltre necessario dimostrare o sapere (“appurare con certezza”) che il batterio da eliminare è sensibile nei confronti dell’antibiotico. La fig. 1 mostra schematicamente una possibile procedura in caso di sospetto di infezione batterica (fonte: FECAVA, modificato).
Generalmente un antibiotico dovrebbe essere scelto in base allo spettro d’azione, alle resistenze, all’efficacia terapeutica, al tipo di azione e alla farmacocinetica.
Per evitare un eccessivo condizionamento della flora microbica fisiologica si deve preferire un principio attivo con il minor spettro d’azione possibile. Oltre allo spettro d’azione specifico, un antibiotico dovrebbe essere scelto in base allo stato di resistenza del batterio. L’antibiotico ideale possiede inoltre un elevato indice terapeutico ed eventualmente una buona diffusione tissutale.
Gli antibiotici con attività battericida dovrebbero essere utilizzati in pazienti immunosoppressi o in pazienti con stato immunitario non chiaro e in caso di gravi infezioni settiche.
Gli antibiotici con attività batteriostatica hanno solo un’azione di inibizione della crescita batterica, i batteri dovranno quindi essere definitivamente eliminati da parte del sistema immunitario del soggetto.
L’efficacia di un antibiotico dipende dalle sue caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche.
Tra i parametri farmacocinetici si annoverano l’assorbimento, la distribuzione, la metabolizzazione e l’eliminazione di un principio attivo. Da questi parametri sostanzialmente dipendono la concentrazione plasmatica e quella tissutale del farmaco.
La minima concentrazione inibente (MIC) è il parametro farmacodinamico più importante. E’ specifica per ciascun ceppo batterico e si basa sulla presenza di meccanismi individuali di resistenza.
Ciò che in Germania con le linee guida sugli antibiotici risulta essere simile a legge, in altri Paesi, come ad es. l’Olanda, viene già giuridicamente regolato. Qui vi sono norme giuridiche sull’utilizzo di antibiotici alle quali il medico veterinario si deve attenere. In base all’agente eziologico, alla localizzazione, alla specie animale, alle indicazioni ecc. vengono posti in primo piano specifici principi attivi. Se gli antibiotici di “prima scelta” non sono disponibili esistono antibiotici di seconda scelta e antibiotici di riserva, che devono essere presi in considerazione come ultima possibilità. Nelle piodermiti superficiali l’agente eziologico più frequentemente rilevato è lo Staphylococcus pseudointermedius. Qui come principio attivo di prima scelta viene data la Clindamicina.
I principi attivi di seconda scelta sono Cefalexina, Cefadroxil, Amoxicillina (+ Acido clavulanico) e Ampicillina. Un principio attivo di terza scelta (inibitori della girasi, cefalosporine di 3 ͣ /4 ͣ generazione) dovrebbe essere preso in considerazione solamente dopo un esame batteriologico con antibiogramma. E’ indicato un trattamento della durata di 3 – fino a 6 settimane. In questo modo si vuole regolamentare una terapia antibiotica mirata per rallentare o evitare lo sviluppo di resistenze.
Nel caso in cui tutti gli antibiotici ammessi per l’uso animale si dimostrino non efficaci (quindi resistenti) in base all’antibiogramma (cosiddetta “emergenza terapeutica”), in Germania vi è la possibilità nella pratica ambulatoriale di utilizzare antibiotici ammessi solo in medicina umana (“antibiotici di riserva”). Tuttavia queste sostanze antimicrobiche efficaci dovrebbero venire utilizzate solamente in casi di emergenza, come dice il nome stesso.
Negli ultimi anni la tematica sulla somministrazione di antibiotici in medicina veterinaria e sulla multiresistenza è di sempre maggiore interesse, in vista dell’aumentata attenzione pubblica sull’argomento. In particolare la clinica degli animali da reddito incappa sempre più spesso in critiche a riguardo. Così, anche il punto chiave che si può trovare nelle ultime modifiche della legge sul farmaco (16. AMG-Novelle), è la riduzione dell’utilizzo di antibiotici nell’allevamento degli animali da reddito tramite un miglioramento della salute degli animali.
Per poter avere indicazioni il prima possibile sull’agente batterico, la sua rilevanza e il suo spettro di resistenza, è necessario eseguire un esame batteriologico con identificazione del batterio ed antibiogramma.
In particolare nelle ferite con difficoltà di guarigione o nelle infezioni delle vie urinarie refrattarie alla terapia, si nascondono spesso patogeni multiresistenti come batteri MRSA/ MRSP o enterobatteri produttori della ESBL (E. coli, Klebsiella spp., Proteus spp.).
Un attuale studio condotto in tutta la Germania dimostra una percentuale del 62,7% di MRSA tra tutti gli Staphylococcus aureus isolati da tamponi di ferite di cani, in un arco di tempo di 17 mesi (Voncze et al. 2014).
Nel 2008 presso LABOKLIN, nell’ambito di uno studio, sono stati testati per la multiresistenza gli Staphylococcus (pseud)intermedius isolati da tamponi di cani. Tra tutti gli isolati analizzati, il 10% era positivo a MRSP. Nel 2015 è in programma un ulteriore monitoraggio per ottenere gli esiti attuali sull’andamento della resistenza.
L’immagine 2 mostra gli esiti di LABOKLIN sul monitoraggio ESBL (ESBL = Extended Spectrum Beta Lactamase) del 2014. Sono stati testati isolati con sospetta resistenza ESBL (resistenza verso cefalosporine della 3 ͣ e della 4 ͣ generazione).
Dal 60 al 70% di tutti gli isolati testati (cane, gatto e cavallo) hanno mostrato la presenza di produttori di ESBL. Nei cani e nei gatti la maggior parte dei produttori di ESBL sono stati isolati da campioni del tratto urinario e respiratorio. Nel cavallo si hanno avuti campioni ESBL positivi principalmente del tratto respiratorio, seguiti dai campioni prelevati dalle ferite.
Per il rilievo della sensibilità in vitro degli agenti batterici ci sono a disposizione varie procedure di laboratorio. Oltre al test di diffusione in agar che si utilizzava in passato oggi presso LABOKLIN vien utilizzato come metodo di scelta la microdiluizione in brodo. Le metodiche come la macrodiluizione in brodo e l’E-test si ritrovano raramente come esami di routine nei laboratorio di medicina veterinaria. Nel test di diffusione in agar (fig. 3), si mette su un terreno di coltura per prima la sospensione dei batteri da testare e successivamente si mettono i dischetti che contengono definite concentrazioni di antibiotico. Cosicché, dopo incubazione, si crea attorno ai dischetti un cosiddetto alone di inibizione nel caso in cui l’agente batterico sia sensibile nei confronti del principio attivo. La valutazione viene fatta tramite misurazione del diametro dell’”alone di inibizione” (in mm). Si può così dare una valutazione semiquantitativa e dire se il batterio è “sensibile”, “intermedio” o “resistente” sulla base di specifiche indicazioni derivanti dalla misura del diametro dell’alone.